Altre storie di cani

Altre storie di cani di Jack London

Fredda e grigia, spaventosamente fredda e grigia si preannunciava la giornata in cui l’uomo abbandonò la pista principale dello Yukon per arrampicarsi sull’alto argine di terra, dove una pista appena, segnata e poco battuta portava verso Est, attraverso la folta boscaglia di abeti.

[incipit di “Farsi un fuoco”]

Alle dodici il giorno ebbe il suo momento di massima luminosità. Eppure il sole era ancora troppo a Sud, nella sua traiettoria invernale, per illuminare l’orizzonte. La rotondità della terra gli impediva di illuminare lo Henderson Creek, dove l’uomo camminava a mezzogiorno sotto un cielo limpido senza proiettare ombra.

(“Farsi un fuoco” – Pagina 297)

Mentre il crepuscolo avanzava, il cane, vinto dal desiderio di fuoco, cominciò ad agitarsi e a gemere sommessamente, poi afflosciò le orecchie, aspettando il castigo. Ma l’uomo rimase muto. Dopo un po’ il cane si mise a guaire più forte. E dopo un altro po’ strisciò vicino all’uomo e annusò l’odore della morte. Arricciò il pelo e si ritrasse. Sostò ancora qualche minuto, ululando sotto le stelle che tremolavano e danzavano, e brillavano nitode nel cielo gelido. Poi si volse, e si diresse trotterellando verso l’accampamento che ben conosceva, dove c’erano altri procacciatori di cibo, e di fuoco.

[explicit di “Farsi un fuoco”, selezionare per leggere]

Era rimasta indietro, a causa dell’erba umida, per mettersi le soprascarpe, e quando uscì di casa trovò il marito che l’aspettava intento ad osservare la meraviglia di un fiore di mandorlo in procinto di sbocciare. Cercò con lo sguardo nell’erba alta e tra gli alberi del frutteto.
«Dov’è Wolf?», chiese.

[incipit di “Brown Wolf”]

Il trotto di Wolf si trasformò in corsa. I balzi erano sempre più lunghi. Non una volta girò la testa, la folta coda da lupo dritta dietro di lui. Tagliò velocemente la curva e scomparve.

[explicit di “Brown Wolf”, selezionare per leggere]

Non ho più grande stima di Stephen Mackaye, sebbene in passato ci giurassi. Vi posso dire che a quei tempi lo amavo come un fratello. Se mai lo rincontrassi, non sarò responsabile delle mie azioni. Non riesco a darmi pace che un uomo con cui ho diviso cibo e letto, e con cui ho attraversato in slitta il Chilcoot Trail, abbia potuto comportarsi con me come si è comportato lui.

[incipit di “Macchia”]

Quel particolare acquirente lo riportò di persona, rifiutò di essere risarcito e il modo in cui ci trattò fu atroce. Disse che era regalato, se poteva prendersi il gusto di dirci quello che pesava di noi; e dal canto nostro sentivamo che aveva talmente ragione che non osammo replicare. Ma ancora oggi, a distanza di tempo, non ho riconquistato la bella fiducia in me stesso che avevo prima che quell’uomo di parlasse.

(“Macchia” – Pagina 323)

La notte scorsa Macchia si è infilato nel pollaio di Mr Harvey (il mio vicino di casa) uccidendo diciannove polli di razza. Dovrò risarcirlo. I miei dirimpettai hanno litigato con mia moglie, e si sono trasferiti. Per colpa di Macchia. Ed è per questo che sono deluso di Stephen Mackaye. Non pensavo che fosse una persona così abietta.

[explicit di “Macchia”, selezionare per leggere]

Il collo, dalla testa alle spalle, una massa di pelo ispido; orecchie appuntite, muso allungato, labbra ringhiose, zanne gocciolanti; guaisce più che abbaiare; simile a un lupo all’aspetto e non bello a vedersi quando è arrabbiato: è questo lo husky, o cane lupo del Nord.

[incipit di “Husky, il cane lupo del Nord”]

Una peculiare caratteristica è il loro ululato. Non somiglia a nessun altro suono, di mare o di terra. Quando il gelo si fa mordente e l’aurora boreale solca il cielo coi suoi gelidi fuochi, danno voce nella notte alla loro sofferenza. Malinconico, singhiozzante, sale come un lamento di anime perse e torturate, e quando migliaia di husky ululano in coro, è come se il tetto fosse precipitato, e l’inferno si mostrasse nudo alle stelle.

(“Husky, il cane lupo del Nord” – Pagina 330)

E le mogli non acconsentirono a proseguire il viaggio finché il signore le cui poesie erano state lodate da Rossetti non si recò a piedi a investigare personalmente.

[explicit di “Husky, il cane lupo del Nord”, selezionare per leggere]

http://www.naufragio.it/iltempodileggere/11999

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Il richiamo della foresta

da Il richiamo della foresta di Jack London

Buck non leggeva i giornali, altrimenti avrebbe saputo quali guai si stavano preparando, dallo stretto di Puget a San Diego, per lui e per ogni cane di grossa taglia, con muscoli forti e una pelliccia calda e spessa.

[incipit]

Ogni notte, puntualmente, alle nove, a mezzanotte e alle tre levavano un canto notturno, un canto misterioso e affascinante a cui Buck si univa con gioia. Quando l’aurora boreale divampava fredda nel cielo o le stelle palpitavano in una gelida danza, mentre la terra intorpidita e ghiacciata giaceva sotto il sudario di neve, quel canto dei cani eschimesi avrebbe potuto essere una sfida della vita; ma era modulato in chiave minore, con gemiti prolungati e singhiozzi interrotti ed era piuttosto una supplica della vita, esprimeva il travaglio dell’esistenza. Era un canto antico, antico come la razza stessa, uno dei primi canti del mondo giovane, quando i canti erano tristi.

(Pagina 55)

Lo dominava l’impeto della vita, la marea dell’essere, la gioia perfetta di ogni muscolo, di ogni giuntura, di ogni tendine, poiché questo era il contrario della morte, era ardore e violenza, si esprimeva nel movimento, nello sfrecciare esultante sotto le stelle e sopra le cose morte e immobili.

(Pagina 57)

Nel cuore della foresta risuonava un richiamo emozionante, misterioso e attraente e tutte le volte che lo udiva si sentiva costretto a voltare le spalle al fuoco e alla terra battuta che lo circondava, per addentrarsi nella foresta, sempre più avanti, senza sapere dove andava né perché; né si domandava dove o perché il richiamo risuonasse imperiosamente nel cuore della foresta.

(Pagina 83)

Gli piaceva correre nella luce crepuscolare della mezzanotte estiva, ascoltando i mormorii sommessi e sonnolenti della foresta, leggendo segni e suoni come un uomo può leggere un libro e cercando la fonte del richiamo misterioso, quella voce che lo chiamava nella veglia o nel sonno, in qualunque momento, perché la raggiungesse.

(Pagina 94)

Andò nel centro della radura e rimase in ascolto: era il richiamo, il richiamo dalle molte note, che risuonava più allettante e imperioso che mai.

(Pagina 102)

Ma non sempre è solo. Quando vengono le lunghe notti invernali e i lupi inseguono la loro preda nelle valli più basse, lo si può vedere correre alla testa del branco nella luce pallida della luna o nel fioco chiarore dell’aurora boreale, balzando gigantesco innanzi ai compagni, la grande gola tonante nel canto del mondo più giovane, il canto del branco.

[explicit]

Anche se l’ho trovato troppo simile a Zanna Bianca l’epopea di Buck mi ha coinvolto ed emozionato. Sono d’accordo con Mario Picchi che nell’introduzione dice che Il richiamo della foresta è la “rappresentazione della ricerca di amore e libertà”. Come può quindi non affascinare almeno un po’? In fin dei conti, non è un po’ quello che cerchiamo tutti?
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Il pettirosso

(da “L’atteso” DI DINO TICLI)

Nella stalla dove stavano dormendo Giuseppe, Maria e il piccolo Gesù, il fuoco si stava spegnendo. Presto ci furono soltanto alcune braci e alcuni tizzoni ormai spenti. Maria e Giuseppe sentivano freddo, ma erano così stanchi che si limitavano ad agitarsi inquieti nel sonno.

Nella stalla c’era un altro ospite: un uccellino marrone; era entrato nella stalla quando la fiamma era ancora viva; aveva visto il piccolo Gesù e i suoi genitori, ed era rimasto tanto contento che non si sarebbe allontanato da lì neppure per tutto l’oro del mondo.

Quando anche le ultime braci stavano per spegnersi, pensò al freddo che avrebbe patito il bambino messo a dormire sulla paglia della mangiatoia. Spiccò il volo e si posò su un coccio accanto all’ultima brace. Cominciò a battere le ali facendo aria sui tizzoni perché riprendessero ad ardere. Il piccolo petto bruno dell’uccellino diventò rosso per il calore che proveniva dal fuoco, ma il pettirosso non abbandonò il suo posto. Scintille roventi volarono via dalla brace e gli bruciarono le piume del petto ma egli continuò a battere le ali finché alla fine tutti i tizzoni arsero in una bella fiammata.

Il piccolo cuore del pettirosso si gonfiò di orgoglio e di felicità quando il bambino Gesù sorrise sentendosi avvolto dal calore.

Da allora il petto del pettirosso è rimasto rosso, come segno della sua devozione al bambino di Betlemme.

If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain

Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in Vain.

Se io potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se allevierò il Dolore di una Vita
O guarirò una Pena

O aiuterò un Pettirosso caduto
A rientrare nel Nido
Non avrò vissuto invano.

.

Emily Dickinson

Pane

C’è un posto vino e un posto pane chissà dov’è
per quando hai sete oppure hai fame dentro di te.

Angelo Branduardi (Piccola canzone dei contrari)

Da noi si riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c’è un odore di terra e gaggìa
a il pane ha il sapore del grano.

Mario Trufelli (Lucania)

Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane
ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiate

Samuele Bersani (Giudizi universali)

In che cortile si lava il grano?
Sul rombo cupo della trebbiatrice
s’innalza un canto giovine che dice:
anche il buon pane – senza sogni – è vano!

Guido Gozzano (L’analfabeta)

Non dateci il pane, ma i pani,
sì d’oggi, e sì pur di domani,
di sempre, o pie genti!
Non dateci il vostro buon cuore
cambiandolo in nostro rossore;
voi uno, noi venti.
Non pane soltanto ch’è nulla,
ma vesti e la casa e la culla,
non rame, ma oro:
non ciò che a più chiedere invita,
ma tutto: non vitto, ma vita:
lavoro! Lavoro!

Giovanni Pascoli (La voce dei poveri)

Pani e pesci, pesci e pani
fa una croce e li ricevi già da domani:
guarda bene, non è un sogno
sono proprio come quelli del disegno.
Pani e pesci, pesci e pani
abbi fede, basta un gesto con le mani,
venga avanti che ne ha voglia
noi tiriamo l’oro fuori dalla paglia.

Roberto Vecchioni (Pani e pesci)

Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.

Fabrizio De Andrè (Nella mia ora di libertà)