Io sono il fantasma

Allora, che ore sono?
Se l’orologio di questo campanile va bene, sono le otto.
Quindi sono esattamente dodici ore che ci penso.
[incipit]

Distolgo lo sguardo dalla mia famiglia. Nonostante io sia un fantasma, il dolore che provo in questo momento mi sembra tanto umano.
(Pagina 63)

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Casino Totale

Ci guardammo, stanchi e frastornati.
“Casino totale, vero?”.
“Proprio così, bella mia”.

I personaggi non sono mai esistiti. Neppure il narratore. Solo la città è veramente reale. Marsiglia. E tutti coloro che ci abitano. Con quella passione che è solo loro. Questa storia è la loro storia. Echi e reminiscenze.
Nota dell’autore

Aveva solo l’indirizzo. Rue des Pistoles, nel Vieux Quartier. Erano anni che non tornava a Marsiglia. Ora non aveva più scelta.
[incipit]

Aveva la rada ai suoi piedi. Dall’Estaque alla Pointe-Rouge. Le isole di Frioul, di Chàteau d’If. Marsiglia in cinemascope. Una meraviglia.

L’amicizia ha le sue regole, non si sfugge.

Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere, violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. E allora è troppo tardi, si è già in pieno dramma. Un dramma antico dove l’eroe è la morte. A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi battere.

Il piacere passa attraverso il rispetto. A cominciare dalle parole. L’ho sempre pensato.

Tanta banalità e cattivo gusto in un luogo così carico di storie dolorose, mi sembra il simbolo di questa fine secolo.

E’ nei momenti di dolore che si riscopre di essere un esiliato.

Perché è così difficile farsi un amico dopo i quarant’anni? Perché non abbiamo più sogni, ma solo rimpianti?

Guardai i suoi figli. I lineamenti erano mosci. Nei loro occhi, sfuggenti, nessun lampo di rivolta. Amari dalla nascita. Avrebbero nutrito odio solo per i più poveri. E per chi avrebbe tolto loro il pane. Arabi, neri, ebrei, gialli. Mai per i ricchi. Si capiva già come sarebbero diventati. Poca cosa. Nel migliore dei casi, autisti di taxi, come il padre. E la ragazza, shampista. O commessa al Prisunic. Dei francesi medi. Cittadini della paura.

Ero come tutti gli uomini che navigano verso la cinquantina. Stavo qui a chiedermi se la vita aveva risposto alle mie speranze. Volevo dirmi di sì, ma mi restava poco tempo. Perché quel sì non fosse una menzogna.

Ma la poesia non ha mai dato risposte. Testimonia, e basta. La disperazione. E le vite disperate.

Essere pugile non significa soltanto colpire, ma, prima di tutto, imparare a ricevere i colpi. A incassare. A fare in modo che quei colpi facciano meno male possibile. La vita non è altro che un succedersi di round.

“Non posso tornare indietro, Babette. Non so dove tutto questo mi porterà. Ma ci vado. Non ho mai avuto uno scopo nella vita. Ora ce l’ho. Vale quel che vale, ma mi sta bene”.
Mi era piaciuta la luce dei suoi occhi, quando si era staccata da me.
“L’unico scopo è vivere”.
“E’ proprio ciò che ho detto”.

Lo sguardo degli altri è un’arma di morte.

Non sopporterei di essere amato da una donna che non ha niente da perdere. Amare, è questo, la possibilità di perdere.

Fuori, il sole mi inondò il viso. L’impressione di tornare alla vita.
La vera vita. Dove la felicità è un insieme di piccoli fatti insignificanti. Un raggio di sole, un sorriso, la biancheria stesa a una finestra, un bambino che gioca a calcio con una scatola di conserva, un’aria di Vincent Scotto, un leggero colpo di vento sotto la gonna di una donna…

Hassan si era fatto una bella clientela di giovani, liceali e studenti. Quelli che saltano i corsi, soprattutto i più importanti. Parlavano del futuro del mondo davanti a una birra, poi, dopo le sette di sera, decidevano di ricostruirlo. Non serviva a niente, ma era bello farlo.

So che per te non è una questione di vendetta, ma esistono cose che non si possono lasciar correre. Perché, altrimenti, non ti puoi più guardare allo specchio.
Pérol

Ricordavo la canzone dei Doors. “The End”.
Era sempre la fine, annunciata, che si avvicinava a noi. Bastava aprire i giornali alla pagina internazionale o alla cronaca. Non occorrono le armi nucleari. Ci ammazziamo con ferocia preistorica.

da Casino Totale di Jean-Claude Izzo

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Go On

Dalla serie tv Go On.

Ryan: Dieci sedute… dieci ore a parlare dei miei sentimenti… Vedi? Sai di cosa ho bisogno?
Carrie: Sentimenti?
(Episodio 1)

Ryan: Una moglie che ti tradisce è la cosa più tremenda…
Anne: Una che muore non è divertente.
Ryan: No, effettivamente no.
(Episodio 6)

Tutti i grandi atleti sono specialisti della negazione. Alì pensava di poter vincere un altro titolo. Ernie Banks compariva ogni primavera pensando “Questo è l’anno buono”. Se siete nei Cubs, non è mai l’anno buono. E, probabilmente il più grande di tutti, il buon vecchio Charlie Brown. Lucy non gli ha mai lasciato colpire la palla. “Santo Cielo!” davvero, signor Brown. E mentre tutti noi vogliamo vivere nel mondo reale, per la maggior parte del tempo, Alì ha vinto davvero un altro titolo. Sono felice di vivere in un mondo in cui i fan del Cubs continuano a sperarci e in cui quel ragazzino strano e pelato continui a cercare di calciare la palla.
Ryan
(Episodio 6)

E’ difficile immaginare di andarsene. Alcuni dei più bei momenti della mia vita sono stati essere triste qui.
Yolanda al suo discorso d’addio
(Episodio 8)

Guarda un po’, il locale è vuoto di martedì sera! Sai dove sono finiti i giovani? A casa, a guardare stupidi video su YouTube! Ai nostri tempi, quando venivamo qui, eravamo stupidi di persona!
Ryan
(Episodio 9)

Non sono vecchio! Twilight! Twilight, il film!
Ryan
(Episodio 10)

Yolanda: Oh, sei un genio! Com’è che non hai più successo nella vita?
Sonia: Eh, è tutto così faticoso!
(Episodio 10)

Ryan: Ho imparato una lezione molto interessante oggi da Fausta. Tutto è meglio con il gioco d’azzardo.
Fausta: Penso che hai colto il messaggio sbagliato. Tutto è meglio con l’alcol.
(Episodio 18)

Ho approfondite conoscenze al riguardo in quanto scienziato e in quanto pazzoide.
Mister K
(Episodio 22)

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Norwegian Wood

Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all’aeroporto di Amburgo. La fredda pioggia di novembre tingeva di scuro la terra trasformando tutta la scena, con i meccanici negli impermeabili, le bandiere issate sugli anonimi edifici dell’aeroporto e l’insegna pubblicitaria della Bmw, in un tetro paesaggio di scuola fiamminga. È proprio vero: sono di nuovo in Germania, pensai.
[incipit]

Capisco che in fondo a poter riempire quel contenitore imperfetto che è la scrittura, sono solo ricordi e pensieri altrettanto imperfetti.
(Pagina 12)

Di persone strane nel corso della mia vita ho avuto modo di incontrarne e conoscerne tante da aver perso il conto, ma non ho mai trovato uno più strano di lui. Aveva letto talmente tanto che come lettore io non potevo neanche accostarmi a lui, ma di regola non prendeva in mano un libro se lo scrittore non era morto da almeno trent’anni. Come fai se no a fidarti? diceva.
Watanabe a proposito di Nagasawa
(Pagina 40-41)

Non sono affatto d’accordo che per il mondo contemporaneo esistano problemi più seri di quelli proposti dalla tragedia greca.
Il professore di “Storia del dramma 2″
(Pagina 76)

— […] L’aspetto migliore di questo posto è che qui tutti ci aiutiamo a vicenda. Siccome siamo tutti consapevoli di essere imperfetti, cerchiamo di aiutarci. E negli altri posti ciò non avviene, purtroppo. Negli altri posti un medico rimane sempre un medico, e un paziente un paziente. Il paziente chiede l’aiuto del medico, e il medico glielo concede. Invece qui noi ci aiutiamo tutti a vicenda. […] Tu aiuterai Naoko, e Naoko aiuterà te.
— Ma come dovrei fare, concretamente?
— La prima cosa è pensare che vuoi aiutare l’altra persona. E che anche tu hai bisogno del suo aiuto.
Reiko e Watanabe
(Pagina 129)

— Conosco la differenza tra le persone che sanno aprire il loro cuore, e quelle che non sanno farlo. Tu sai aprirlo. Ma solo quando dici tu, beninteso.
— E se uno lo apre cosa accade?
— Si guarisce.
Reiko e Watanabe
(Pagina 133)

Mah, in una cosa sicuramente noialtri siamo normali. Nel fatto che almeno sappiamo di non esserlo.
Reiko
(Pagina 194)

Le sue storie del passato sono tutte più o meno su questo stile. Senza un filo di dramma, ma sempre un po’ eccentriche. A sentire i suoi racconti, ci si può fare l’idea che in Giappone da cinquanta sessant’anni a questa parte, non sia successo nemmeno l’evento più insignificante. Dell’incidente del 26 febbraio o della Seconda guerra mondiale lui ti dirà: «Ah, già, è vero, me ne ero quasi dimenticato».
Midori a proposito del padre
(Pagina 252-53)

La vita è una scatola di biscotti. […] Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti.
Modori
(Pagina 323)

Quando tutto attorno è buio non c’è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all’oscurità.
Reiko
(Pagina 331)

Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c’è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso.
(Pagina 349)

da Norwegian Wood di Murakami Haruki

Memorie di Adriano – la vita, l’amore, la morte

E’ difficile rimanere imperatore in presenza di un medico.

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Non ho mai affondato i denti nella pagnotta delle caserme senza meravigliarmi che quella miscela rozza e pesante sapesse mutarsi in sangue, in calore, fors’anche in coraggio.

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Accetterò di assimilare l’amore alle gioie puramente fisiche (ammettendo che ve ne siano) quando avrò visto un ghiottone anelare di piacere davanti alla sua pietanza favorita come un innamorato sulla spalla dell’essere amato. Di tutti i nostri giochi, questo è il solo che rischi di sconvolgere l’anima, il solo altresì nel quale chi vi partecipa deve abbandonarsi al delirio dei sensi. Non è necessario per un bevitore abdicare all’uso della ragione, ma l’innamorato che conservi la sua non obbedisce fino in fondo al suo demone.

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Non ignoro che bisogna fare i conti con le iniziative personali di quell’estraneo affascinante che resta, malgrado tutto, ogni essere amato.

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Quel corpo tanto docile si rifiutava di lasciarsi riscaldare, di rivivere. Lo trasportammo a bordo. Tutto crollò attorno a me, tutto sembrò spegnersi. Zeus Olimpico, il Padrone di tutte le cose, il Salvatore del Mondo precipitò: non vi fu più che un uomo dai capelli grigi che singhiozzava, sul ponte d’una barca.

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L’esistenza m’ha dato molto, o, perlomeno, io ho saputo ottenere molto da lei; in questo momento, come ai tempi in cui ero felice, e per ragioni completamente opposte, mi sembra che non abbia più niente da offrirmi; ma non sono certo di non aver più nulla da imparare da lei.

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Ma tutte le teorie sull’immortalità m’ispirano diffidenza: il sistema delle retribuzioni e delle pene lascia freddo un giudice consapevole della difficoltà d’un giudizio. D’altra parte, mi accade altresì di trovar troppo banale la soluzione opposta, il puro nulla, il vuoto ove risuona la risata d’Epicuro. […] Il viaggiatore racchiuso nel corpo del malato orami sedentario per sempre s’interessa alla morte perché essa rappresenta una partenza. […] Se, per miracolo, qualche secolo venisse aggiunto ai pochi giorni che mi restano, rifarei le stesse cose, persino gli stessi errori, frequenterei gli stessi Olimpi e i medesimi Inferi. Una constatazione simile è un argomento eccellente in favore dell’utilità della morte, ma nello stesso tempo m’ispira dubbi sulla totale efficacia di essa.

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Non mi bisticcio più con i medici; i loro sciocchi rimedi m’hanno ucciso; ma la loro presunzione, la loro pedanteria ipocrita è opera nostra; mentirebbero meno se noi non avessimo paura di soffrire.

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da Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar

Re Giovanni

Da Re Giovanni (The Life and Death of King John) di William Shakespeare.

 

— Dite, Chatillon, che vuole il Francia da noi?
— Così dopo avervi per mio mezzo salutato, parla il re di Francia alla maestà, presa in prestito, del qui presnte Inghilterra.

[Re Giovanni e Chatillon nell’incipit]

Un palmo d’onore in più di quanto avessi, ma di terra ne ho perduta abbastanza. Bene, ora posso fare di ogni donna una signora. «Buona sera, Sir Riccardo». «Dio ti aiuti, brav’uomo». E se il suo nome è Giorgio, io lo chiamerò Pietro. I nuovi nobili non ricordano i nomi degli uomini comuni.

Il Bastardo “riflette” sulla sua nuova condizione di regale figlio illegittimo
(Pagina 24)

— La corona d’Inghilterra non dimostra chi è il Re? E se non basta vi porto dei testimoni, trentamila cuori di sangue inglese…
— (a parte) Compresi i bastardi!

Re Giovanni e il Bastardo
(Pagina 46)

E perché io inveisco contro questo profitto? Ma perché lui non mi ha ancora corteggiato. Non che a me manchi la forza di chiudere la mano se i suoi begli “angeli” in moneta mi sfiorano la palma, ma perché la mia mano, ancora non tentata, come un povero mendicante inveisce contro i ricchi. Bene, finché sarò un mendicante inveirò dicendo che non c’è peccato se non quello di essere ricchi; una volta ricco, la prima virtù sarà quella di dire che non c’è vizio se non la povertà.

Il Bastardo
(Pagina 64)

(Si siede per terra)
Da me e dal mio grande dolore accorrano i Re, perché il mio dolore è così grande che a sostenerlo può essere soltanto l’enorme, solida Terra. Qui io e le pene siederemo. Qui è il mio trono. Ai Re chiedi di venire a inchinarsi davanti a lui.

Costanza
(Pagina 70)

Costanza — Tu indossi la pelle del leone? Vergogna, gettala via, e metti una pelle di pecora su quelle membra di rinnegato.
Austria — Oh, se a dirmi queste parole fosse un uomo!
Bastardo — E metti una pelle di pecora su quelle membra di rinnegato!
Austria — Non osare dirlo, canaglia, sulla tua vita!
Bastardo — E metti una pelle di pecora su quelle membra di rinnegato.
[…]
Austria — Re Filippo, ascoltate il Cardinale.
Bastardo — E metti una pelle di pecora sulle sue membra di rinnegato.

(Pagine 72,74,78)

— E’ la maledizione dei Re di essere serviti da schiavi che prendono i loro umori per ordini intesi a infrangere la casa sanguinante della vita, e in un batter di ciglia dell’autorità vedono una legge e credono di conoscere il significato del corruccio regale quando esso minacciava più di malumore che per una ragione meditata.
— Ecco l’ordine, da voi scritto e sigillato, perché facessi quello che ho fatto.

Re Giovanni e Uberto
(Pagina 124)

Paghiamo al tempo il solo dolore necessario, visto che abbiamo già versato il nostro tributo. Questo l’Inghilterra non ha mai fato né farà, di giacere al piede orgoglioso di un conquistatore, a meno che prima non sia riuscita a ferirsi da sé. Ora che i suoi principi sono tornati in patria, vengano in armi i tre angoli del mondo, e li faremo tremare! Nulla ci farà più soffrire se l’Inghilterra resta fedele a se stessa.

[Il Bastardo nell’explicit, selezionare per leggere]

 

 

Questa è una delle opere del Bardo che non conoscevo per niente, non sapevo avesse scritto di questo re finché non m’è capitato di comprare il libro. Sono quindi rimasta davvero molto soddisfatta di aver trovato comunque una storia interessante e una lettura coinvolgente anche in una tragedia meno conosciuta come questa qui.
http://www.naufragio.it/iltempodileggere/12270

Il mondo è soprattutto questo, una landa desolata su cui trascorrono al galoppo i quattro cavalieri dell’Apocalisse…
Il mondo è soprattutto dolore e noi che ci viviamo ce ne assumiamo la responsabilità completa.

da La torre della solitudine di Valerio Massimo Manfredi